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Trento, 26 novembre 2011
MAURO ROSTAGNO. UN ITINERARIO POLITICO E CIVILE
DA TRENTO A TRAPANI

Intervento di Marco Boato alla presentazione del libro "Il suono di una sola mano"
di Maddalena Rostagno sul padre Mauro.
Biblioteca del Museo Storico di Trento, giovedì 24 novembre 2011

Maddalena Rostagno, la figlia di Mauro e di Chicca Roveri, era venuta a Trento, appena quattordicenne, per la prima volta nel febbraio 1988. Accompagnava il padre che, da Trapani, tornava vent’anni dopo il 1968 nella città che l’aveva visto protagonista del Movimento studentesco nella Facoltà di Sociologia, ma dove aveva avuto anche un forte rapporto con il movimento operaio guidato allora da Giuseppe Mattei, Sandro Schmid, Livio Del Buono e Orlando Galas. “Bentornata Utopia” diceva il grande striscione che accoglieva sul frontone dell’edificio storico di via Verdi le centinaia di ex-studenti e studentesse, provenienti da tutta Italia, che avevano dato vita ad una delle esperienze politiche e umane più significative a livello italiano ed europeo, negli anni ’60 della ribellione studentesca antiautoritaria.

Di quell’esperienza trentina Maddalena (all’epoca era chiamata “Kusum”) parla in modo commosso nel libro, pubblicato nell’estate 2011, che ha scritto insieme al giornalista Andrea Gentile: "Il suono di una sola mano. Storia di mio padre Mauro Rostagno" (Il Saggiatore, Milano, 2011). E il 24 ottobre 2011 Maddalena è tornata a Trento, più di ventitre anni dopo, invitata (insieme ad Andrea Gentile) dal Museo Storico, tramite Fiammetta Balestracci. La biblioteca del Museo, affollatissima in quella circostanza, è un luogo significativo, perché ormai da oltre due decenni esiste il “Centro di documentazione Mauro Rostagno”, voluto e promosso dall’allora direttore Vincenzo Calì, dopo l’omicidio per mano di mafia avvenuto a Lenzi di Valderice il 26 settembre 1988, in prossimità della Comunità Saman, durante il breve viaggio di ritorno dalla televisione RTC di Trapani, dove Mauro aveva dato vita ad una singolare e straordinaria esperienza giornalistica militante.

Arrivata in treno da Torino (la città natale del padre, dove ora vive e lavora col “Gruppo Abele” di Don Ciotti), Maddalena, quasi in una sorta di pellegrinaggio laico, ha voluto ripercorrere con noi lo stesso itinerario che aveva fatto con suo padre nel febbraio 1988, arrivando fino alla Facoltà di Sociologia e “scoprendo” anche l’aula autogestita dedicata a Mauro Rostagno dagli studenti, in attesa che sia finalmente l’autorità accademica a dedicare ufficialmente un’aula alla sua memoria, come è stato giustamente fatto per Bruno Kessler e, recentemente, anche per Nino Andreatta. Trento l’ha accolta emozionatissima, con il calore di un sole autunnale, ma anche col calore umano dei giovani studenti di oggi, della gente comune nel mercato del giovedì e con l’incontro casuale per strada di “antichi” compagni di suo padre, tornati anch’essi a Trento per partecipare alla presentazione del libro al Museo Storico. Dopo Sociologia, anche una tappa obbligata al Bar Verdi, dove da qualche anno appare con discrezione una bella targa in ricordo di Mauro Rostagno (che mille volte quel bar aveva frequentato, a pochi metri dalla Facoltà), voluta da Antonio Marchi e condivisa con intelligenza e solidarietà dalla famiglia Lucin.

“L’ultima vittoria di Mauro Rostagno – Giustizia e verità ventidue anni dopo” avevo intitolato, nel febbraio 2011, un mio articolo-testimonianza pubblicato sia sul "Trentino", sia sul quotidiano ecologista "Terra", riprendendo il titolo di una bella copertina dedicata a Rostagno da Enrico Deaglio sulla rivista "Diario" già nel 2008 (e io stesso nel 2009 ne avevo già scritto anche su UCT). Ma non intendo ora ripercorrere le tappe e le vicende del processo, che finalmente si sta celebrando alla Corte d’assise di Trapani, a oltre ventitre anni dall’omicidio di Mauro da parte della mafia.

Che si trattasse di un assassinio di mafia fu evidente fin dall’inizio non solo alla polizia di Rino Germanà, ma anche a mons. Antonino Adragna, che volle subito spezzare il silenzio dell’omertà e della paura, celebrando per Rostagno un solenne funerale religioso nella cattedrale di Trapani, denunciando subito le responsabilità della mafia nella sua forte e drammatica omelia, che ora viene riportata con immutata efficacia nel libro di Maddalena. E fu evidente anche a Claudio Martelli, uno dei pochi politici a livello nazionale (insieme a Gianfranco Spadaccia) a partecipare al funerale di Mauro.

Dopo la celebrazione religiosa, su richiesta di Chicca Roveri e della Comunità “Saman”, tenni io – di fronte ad una piazza affollata da migliaia di persone commosse e attonite – l’orazione funebre in memoria di Mauro, ripercorrendo la sua vita giovane e straordinaria. Una vita lunghissima, per la incredibile quantità di eventi e di esperienze che l’avevano segnata, ma anche una vita breve, stroncata nel sangue ad appena 46 anni. Se fosse ancora vivo, oggi Mauro di anni ne avrebbe 69, ma sarebbe stato – ne sono certo – ancora carico di entusiasmo, di prorompente vitalità e di quel suo insopprimibile carisma, che sapeva contagiare tutti quelli che gli stavano attorno e che lo amavano.

Prima della svolta degli ultimi anni, che ha portato finalmente alla celebrazione del processo agli imputati di mafia di fronte alla Corte d’assise di Trapani, iniziato il 2 febbraio 2011, dalle precedenti inchieste giudiziarie era come se Mauro Rostagno fosse stato ucciso una seconda volta: la prima appunto dalla mafia, la seconda dalla disinformazione (che a volte purtroppo in Sicilia dura tuttora, con una insipienza e un cinismo sconcertanti), dai depistaggi, dalle omertà, dalla calunnia sistematica. Una calunnia che era dapprima arrivata a colpire persino Adriano Sofri e gli antichi compagni di Lotta continua, e che poi aveva investito in modo mostruoso la stessa compagna di Mauro, Chicca Roveri, che ha subìto una accusa infamante senza che poi nessuno abbia pagato in alcun modo per questa vergogna. Una duplice infamia, dunque: prima l’omicidio mafioso di Mauro e poi la calunnia per depistare le indagini, che cercò di infangarne indirettamente il ricordo e di cancellarne la straordinaria figura dalla memoria collettiva di intere generazioni (e si spiega così, purtroppo, anche la timidezza, per usare un eufemismo, delle autorità accademiche trentine).

In realtà Mauro Rostagno è morto davvero come un eroe civile, prima ancora che politico: un eroe dell’antimafia militante e non rituale, un eroe della libera informazione e della coraggiosa controinformazione, un eroe di quella società civile, da cui sorgono nelle terre più difficili, come la Sicilia, figure straordinarie nella loro normalità come Peppino Impastato, Giuseppe Fava e Libero Grassi, le quali si affiancano a quelle di magistrati e di appartenenti ai corpi di polizia dello Stato, che hanno sacrificato la loro vita per un ideale e un servizio di giustizia e libertà.

L’itinerario politico e civile, che alla fine ha portato Mauro all’appuntamento con la morte per mano di mafia, è stato lungo e straordinariamente ricco. Nella sua giovinezza Rostagno è stato il più originale e creativo leader studentesco del movimento del ’68 italiano e del “biennio rosso” 1968-69: dall’anno del Vietnam e di Che Guevara nel ’67 al ’68 degli studenti fino al ’69 degli operai, esperienze che lui visse in prima persona senza soluzione di continuità.

Mauro in quegli anni – e anche dopo, lungo la prima metà degli anni ’70 – fu un autentico leader antiautoritario, non solo nella critica pratica delle ingiustizie sociali e delle degenerazioni istituzionali, ma anche nel rifiuto del dogmatismo marxista-leninista e della burocratizzazione della politica, pure di quella che si pretendeva rivoluzionaria. Fu un leader imbevuto di marxismo critico, ma anche di “controcultura” americana e di critica spietata dei totalitarismi del socialismo reale.

Mauro fu un leader carismatico e “movimentista” quasi per natura: dovunque operasse – dalla sua Torino a Trento, da Trento a Milano, da Milano alla Sicilia, che divenne poi la sua “terra di elezione” – egli sapeva suscitare iniziative ed emozioni, conflitti e contraddizioni, esperienze e trasformazioni (provocando, ahimè, anche invidie, meschinità e rivalità persino nei burocrati della politica sedicente “rivoluzionaria”).

E nonostante non abbia mai rinnegato la sua amicizia trentina con Renato Curcio (nata ben prima che Curcio fondasse le Brigate rosse e continuata dopo la conclusione di questa sua tragica esperienza), Mauro si ispirava ad un modello di pensiero e di azione totalmente alternativo alla clandestinità, alla lotta armata e al terrorismo militarista, operando sempre alla luce del sole, in mezzo alla gente, amando la vita e cercando di trasmettere l’amore per la vita e la speranza, la voglia di giustizia e di libertà anche in chi temeva di averle perdute per sempre.

È questo straordinario amore per la vita, per la libertà e per la giustizia che segna il percorso di Mauro Rostagno attraverso le molte tappe della sua vita. La critica del potere ma anche dell’ideologia, il rifiuto del totalitarismo palingenetico, la trasgressione programmata e libertaria, la lotta per la verità a tutti i costi, appunto l’amore per la vita in tutte le sue forme, fecero di lui, prima, un autentico “ribelle” antiautoritario, e poi anche un autentico operatore sociale e culturale, E infine divenne il protagonista di un giornalismo libero, coraggioso e spregiudicato, capace di rompere i muri dell’omertà istituzionale, di smascherare le connivenze mafiose, di denunciare le vergogne sociali, di riscattare ad alta voce il silenzio dei poveri, dei diseredati e degli oppressi: pagando tutto questo con la propria vita, esposta e indifesa.

È per questo, per tutto questo che parlo di Mauro Rostagno come di un autentico eroe civile: perché ha creduto fino in fondo in questo suo impegno disinteressato e militante, fino al punto di non rendersi conto che il suo coraggio senza difese di fronte alla mafia poteva costargli la vita, fino al punto di sacrificare la sua vita stessa sull’altare dell’impegno civile e dell’informazione libera da ogni condizionamento del potere, prima di tutto del potere occulto e di ogni prepotenza mafiosa.

L’ultima volta che incontrai Mauro da vivo fu proprio nel febbraio 1988 a Trento, dove era tornato, accompagnato dalla figlia Maddalena, nella sua antica facoltà di Sociologia, in occasione del ventennale del movimento del ’68, di cui era stato protagonista in quelle aule e in questa città e provincia. Come ho già ricordato, lo accolse, ci accolse, uno striscione sulla facciata della Facoltà: “Bentornata utopia”. Con la sua consueta spregiudicatezza intellettuale e politica, e anche con una buona dose di auto-ironia che non gli mancava, dopo aver ricreato in poche ore una piena sintonia emotiva e umana con i compagni e le compagne di un tempo, Mauro concluse un suo intervento assembleare con questa frase: “Per fortuna che allora non abbiamo vinto…”. Riviveva con tutti noi la gioia dell’incontro, la memoria solidale di quel movimento collettivo, ma non veniva meno neppure in quel momento alla sua capacità di critica e di autocritica, guardando più al futuro che al passato, pur felicemente vissuto e anche rivissuto.

In quell’occasione, nel febbraio 1988 a Trento, Mauro mi parlò ripetutamente e con grande entusiasmo sia della sua ormai lunga esperienza siciliana nella Comunità “Saman” di Lenzi di Valderice, sia soprattutto della più recente esperienza di giornalismo militante nella televisione RTC di Trapani e mi invitò ripetutamente – io allora ero il senatore di Trento – ad andarlo a trovare.

Dopo quell’ultimo, felicissimo incontro trentino non ci rivedemmo purtroppo mai più. Ci parlammo più volte al telefono nell’estate successiva, a seguito della comunicazione giudiziaria che entrambi avevamo ricevuto, allibiti, in relazione al caso Calabresi. Fu lui stesso a chiedermi di trovargli gli avvocati difensori, che furono Sandro Canestrini di Rovereto, a lui legato da antica amicizia e protagonista da decenni dei più importanti processi politici e sindacali, e il giovane Giuliano Pisapia, oggi sindaco di Milano, che avevo conosciuto nello studio del padre Giandomenico, insigne giurista. Mauro sentiva l’infamia di quel sospetto e voleva andare al più presto dai magistrati di Milano per protestare la propria innocenza e l’estraneità di Lotta continua. Mai avrebbe potuto immaginare che da parte di qualche appartenente all’arma dei carabinieri e da parte di un avvocato della famiglia Calabresi si sarebbe – dopo il suo omicidio - potuto alludere calunniosamente alla volontà dei suoi amici e compagni di un tempo di impedirgli di testimoniare. Per questo, ho detto e ripeto che è come se Mauro fosse stato ucciso una seconda volta  con i depistaggi e le calunnie, che per vent’anni hanno impedito di rendergli giustizia e che qualcuno in Sicilia ha cercato di riciclare malamente e in modo irresponsabile anche in epoca recente. Nel libro di Maddalena Rostagno tutto questo è ricostruito con efficacia, rigore documentario, testimonianze dirette. E con una grande, drammatica sofferenza umana, che si legge nel volto bellissimo di questa giovane donna, che dal padre ha ereditato l’umanità, l’intelligenza e il coraggio indomito.

Mi auguro con tutto il cuore che il processo in corso a Trapani, grazie all’impegno di magistrati coraggiosi e nonostante tanti veleni che continuano ad attraversarlo, possa finalmente rendere verità alla memoria di Mauro e possa saziare almeno in parte la sete di giustizia di Chicca, di Maddalena e di tutti coloro che hanno amato e amano Mauro, i più giovani senza neppure averlo potuto conoscere. Sarebbe davvero, oltre ventitre anni dopo il suo omicidio per mano di mafia, l’ultima vittoria di Mauro Rostagno.

 

  Marco Boato

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